Benvenuto/a nel sito della scrittrice Giovanna Albi.

"Il tempo ritrovato è di gran lunga più piacevole di quello perso" (Cit. di Giovanna Albi)

venerdì 21 marzo 2014

Recensione di Cristalli di Miriam Bruni


Recensione della silloge Cristalli di Miriam Bruni.

Una silloge che porta questo nomen omen ( un nome un presagio) “Cristalli” richiede anzitutto rispetto e profonda interiorizzazione. Le poesia vanno lette e rilette a voce alta e iniettate nelle vene, sì da sentirne punti di forza e di debolezza, intrinseca fragilità, metafora della precarietà della condizione umana, che ci accomuna sotto il medesimo cielo. La silloge si apre con una moderna invocazione alla Poesia, cui si chiede le chiavi di accesso, per accarezzare le sue forme muliebri, il ventre di fitta ombra, fino a sentirla affine nel suo pascaliano silenzio. Perché solo il silenzio consente di entrare in questo sacro scrigno e carpirne i segreti inebrianti più dei petali di rosa. Versi di supplice preghiera di chi nutre religioso timore reverenziale per l’apice della creazione umana, lì dove si colloca il pensiero sublime. E’ l’ansia di attingere alla Bellezza che conduce al quel punto di non ritorno che è la parola poetica, che si affida alle carezze degli angeli in una dimensione metafisica. Slancio del pensiero consapevole della dicotomia implicita nell' essenza umana , che procede per ossimòri, metafore e metonimie della condizione esistenziale: Stanchezze/slanci; sterpi, rovi/limpidi tramonti; forza /dolore; ricreati in un carducciano gioco chiaroscurale. Mentre mai paga è la ricerca dell’Amore, il solo che sigilla, rovista, trasforma le contraddizioni dell’umano sentire.
Un agile e abile ricerca della parola curata, cercata, inseguita, scavata e scovata: l’amore che trascina safficamente e ustiona, conduce, risveglia, incatena, ma soprattutto fa male, tanto male. L’amore come morbus: anche questo un topos letterario che viene dalla classicità (corre il pensiero a Catullo); un amore che può condurre alla morte, quando è absolutus, libero dalle catene della convenzione. Ogni tanto il miraggio… e l’incantesimo avviene “Eccomi, amore, stasera ti reco in dono il mare”, cioè ti faccio assaporare la vertigine del pensiero illimitato. Così finalmente all' amore ci si può abbandonare con la totalità dell’essere rompendo gli indugi; allora sarà luce improvvisa e danza sfrenata, vento che la poetessa bacia gonfia di esultanza. Il miracolo c’è, c’è la via di fuga dal dolore, ed è l’unità totalizzante con l’oggetto concupito. C’è tanta classicità in questi versi, là dove la poetessa si incanta ad  ascoltare la sua voce, che grecamente ( si veda l’Odissea) viene percepita come un fluido magico che sgorga per volontà divina, e pur si cerca ancora il silenzio perché le parole sono come pietre che fanno male o ripetitive da ingenerare noia. Eppure certi giorni (titolo che ricorda Certe Notti di Ligabue) la vita appare piena, in sintonia con le stagioni, fusa con il senso profondo dell’essere. Sicché si può anche elevare un Salmo al Signore, intravedendo la vita nella sua pienezza con in un montaliano miraggio: la percezione di una sera che fa pensare al “magnifico amore”. E così procede il poetare della Bruni, tra momenti di esaltazione e amara caduta nella depressione in una costante, faticosa, anche penosa, dicotomia dell’anima, che o si appaga del tutto o cade e scivola nel nulla del nichilismo. Le poesie vanno assaporate come acqua che sgorga pura da sorgente, per sentieri non calpestati da altri, perché i richiami che intravedo alla classicità nulla tolgono all'originalità della giovane poetessa.


domenica 23 febbraio 2014

Ivana e La favola a Teramo: grazie terra natia!

Ivana e La Favola a Teramo

Ho lasciato Teramo negli anni ’80, città ridente in collina, a pochi chilometri dal mare e dalla montagna; posso ammirare dalla mia casa l’imponenza solitaria del Gran Sasso e ancora ne rimango commossa e intrigata. Vi sono ritornata da soli tre anni, per una disavventura lavorativa; sembrerebbe un destino, ma è stata una scelta: un’ imponente nostalghìa del ritorno mi ha ricollegata alle mie radici.
Essere è ricordare e io Teramo non l’ho mai cancellata: qui i primi passi verso la vita, i miei studi, i primi fremiti di amore, le prime lacrime sulle note di Baglioni, di De Gregori, di Dalla, e di tutti i più capaci e sensibili cantautori degli anni ’70. Ho ritrovato una Teramo non molto diversa (lasciamo stare la crisi economica!): le stesse persone,nel senso umano del termine, gli stessi aromi, profumi, lo stesso affetto, l’attenzione ai rapporti umani. Andiamo al dunque: ho qui ricucito anche i rapporti culturali, e ho pensato di presentare il mio libro nella Sala San Carlo, perché sapevo, come è stato, che avrei trovato amici e parenti solidali con me. Come si dice, giocavo in casa, ma l’avventura non avrebbe avuto per me il valore che ha, fino a diventare una mattina indimenticabile, se non ci fosse stato anche il mio amico fraterno, Ciro Pinto, grande scrittore e romanziere, nato a Napoli, dove tuttora vive, accompagnato dall’amabile moglie, Lucia, donna saggia, umana ed intelligente. Talora Facebook avvicina anime diverse e pur uguali, come quella mia e di Ciro, sicché abbiamo deciso di presentare i nostro libri insieme, perché, benché diversa l’impostazione dell’opere , lo stile, i contenuti, identica è la passione per lo scrivere e l’attenzione per la figura della donna , presente in entrambe le opere.
E meno male che conosco bene e sono amica della grande professoressa Maria Cristina Marroni, la quale ha mirabilmente guidato la conferenza alla sala San Carlo, introducendo al tema, facendo una presentazione brillante ed esaustiva dei nostri testi, rivolgendoci intelligenti domande. Il tutto ci ha consentito di parlare di letteratura divertendoci in una sala attenta, dove c’era una rappresentanza degli alunni del Liceo Classico di Teramo, accompagnati dalla Preside Loredana Di Gianpaolo e dalla professoressa Gabriella Liberatore; non finirò mai di essere loro grata, perché soprattutto alle nuove energie ci rivolgiamo quando scriviamo, perché loro sono la speranza in un futuro migliore di quello che stiamo vivendo.
Il tema del bello ha dominato la prima parte della conferenza attraverso l’analisi del mio libro, che, ambientato in una Grecia sospesa nel sogno, tratta proprio del bello, dell’ amore e dell’ amicizia, specie tra donne. Ma soprattutto abbiamo parlato della forza del ricordo, della necessità della memoria. Anche quando diventa intrusiva, la vita è sostanzialmente ricordo. Molti i riferimenti alla classicità: dalla percezione del tempo, all’impostazione filosofica, alla riflessione sull’amore in un romanzo, quale è il mio, che è sostanzialmente educazione sentimentale.
Ha magistrarmente interpretato la lettura di brani della mia opera Vincenzo Castaldo, figlio del noto pittore napoletano, Carmine Castaldo, autore dello splendido dipinto rappresentato nella copertina del mio libro.
Grazie di Cuore, Vincenzo!
Poi ci siamo spostati a Cetona, nel Senese, attraverso il libro di Ciro, che, abile romanziere, ha tessuto una storia che ruota attorno al problema di Ivana, che è sostanzialmente l’alter ego di tutti i personaggi presenti nell’opera: Andrea, Laura e Sara. Ma oltre al tema del doppio, topos letterario, il libro presenta una seria e costruttiva riflessione sui giovani e sulla crisi economica che ci attraversa, argomenti centrali nel mondo concettuale di Ciro, insieme all’attaccamento ai sani valori della terra ai sapori veri della vita che il protagonista, Andrea, ritrova in questo locus amoenus di Cetona, magistralmente rievocato in un tempo sospeso tra Medioevo e Rinascimento.

Un grazie di cuore a tutti i presenti, attenti ascoltatori della nostra conferenza, ma soprattutto alla mia città, Teramo, che mi accoglie sempre con la stessa emozione, perché la terra d’ Abruzzo è assolutamente meravigliosa e deve solo essere rivalutata per la sua grandezza antica e moderna.

venerdì 14 febbraio 2014

L'estetica dell'oltre di Michela Zanarella David and matthaus 2013

La settima opera della poetessa padovana Michela Zanarella, una voce significativa nell’attuale panorama poetico italiano e internazionale, porta un titolo che diventa manifesto poetico: L’estetica dell’oltre. In essa arrivano a maturazione sorprendentemente elementi già in nuce nella precedente silloge Meditazioni al femminile. Sì, perché la Zanarella, prima che poetessa, è donna nella pienezza del termine, donna in ricerca che si rispecchi nella luce di Dio attraverso il suo grembo e il radicale attaccamento alla storia e alla zolla che sa di polvere tutta umana. La silloge, composta di cinquantatre liriche, tutte di ineccepibile intensità poetica, attraverso luminose metafore e callidae iuncturae, è un inno elevato alla vita che si sublima nella percezione estetica dell’oltre. L’oltre, l’altrove alla Pessoa, esprime tutta la tensione contemplativa della giovane e affermata poetessa, che, per quanto conosca la materialità della dimensione umana, che attraversa con consapevole vitalismo, spinge lo sguardo verso l’infinito in un der dasein mai pago di rappacificarsi con quella dimensione che più di ogni altra pertiene all’uomo sensibile: l’oltre.
Qui si concretizza l’estetica, che credo vada intesa in senso platonico, come percezione ( aìsthesis) del
Bello/Buono assoluto,  precedente alla nostra gettatezza nel mondo, risalente a quel periodo in cui eravamo tutt’uno con la Natura e con Dio. A questa condizione la poesia avverte la tensione a tornare in un nòstos verso la casa del Padre, attraverso un viaggio che accompagna l’anima in una dimensione superiore dalla quale, però, non si dimentica la matrice terrigna dell’uomo, la sua necessità tutta umana di essere carne, lacrime e sangue, zolla, radice, albero ben piantato nella storia.
Sicché la silloge si snoda tra due dimensioni: la terra e il cielo e, in metafora, la madre-terra e il padre-cielo, due realtà che insieme consentono all’uomo mortale una situazione di equilibrio interiore; le poesie della Zanarella sono sensuali e carnali, certa che “Forse soltanto l’amore/sa riempire le superfici nude/dei miei sensi”, ma al contempo rarefatte e trasparenti come la luce che promana dalla percezione dell’eterno.
Il binomio intorno a cui sembra ruotare la silloge trova voce nella lirica “Dove la vita”, in cui il sangue ( la carnalità) si specchia nella “materna espressione di amore”, in tensione verso la luce (il cielo), dove si incrocia lo sguardo con il “colore della fede”. Una fede fervida e profonda permea i versi , senza indulgere a nessuna forma di misticismo esasperato, perché Zanarella è anzitutto donna che palpita di amore, di sentimenti veri e umani, donna che ricorda che il limite e la finitezza sono dati strutturali dell’esistenza e che la vita è leopardianamente tensione tra il finito del corpo e l’aspirazione all’infinito, che si ritrova nella percezione dell’oltre. Tale consapevolezza non assume però i toni drammatici dell’ateo genio di Recanati, ma equilibrata compostezza che si realizza nel contemperamento armonico delle due dimensioni,  i due volti della realtà umana. Esserci su questa terra, con tutta se stessa, con il suo giovane e pur ricco bagaglio di esperienze personali, è la scelta radicale di una poetessa che maternamente ama la vita orgogliosa di quel grembo docile da cui ha “appreso come suonano sembianze di luce”. In queste poche e metaforiche parole la sintesi della sua concezione del mondo: punto di incontro tra il grembo materno e l’aspirazione alla luce che sinesteticamente suona, perché la poetessa è lì tutta protesa  ad ascoltare quanto “le sembianze di luce” hanno da comunicarle ora che l’eterno si è fatto carne che odora di madre.
L’elemento femminile “il grembo” si fa eterno “la luce”, così come, rivolgendosi al padre, dice:” Accanto a mia madre/hai mutato paure in presenze di luce” in una felice e proficua compenetrazione tra l’elemento maschile e quello femminile, mentre è proprio la donna al centro del Pàntheon, è lei foriera di luce, è lei che fuga le paura dell’uomo-padre. Tutto umano, nel senso più elevato del termine, il padre, radicato nel colore della terra, quel padre con cui la poetessa condivide la pelle, il destino di imperfezione.
Trovo che il fascino della raccolta sia racchiuso in questo movimento che spinge al contempo verso il basso e verso l’alto, mettendoci a contatto con le realtà che umanamente ci pertengono: la terra, il sangue, la luce.
Una luce che permea nelle cose e metaforicamente, dantescamente, guida l’itinerario poetico ed esistenziale della Zanarella, una luce, che è anche memoria della storia personale ed universale, una luce che illumina all’uscita dalla caverna della carne, della quale però la poetessa non fa a meno. La poesia si fa anche civile, è un monito a non dimenticare:  “è nostro dovere/tenere in luce/tutte le lacrime perse tutte le lacrime perse nei secoli/le febbri del passato, che ha circondato l’umanità di opaco dolore”.
Sottolineo ancora la luce della poesia che illumina le ombre di un passato da non dimenticare, mentre quell’opacità del dolore richiama alla memoria il mondo pascoliano come “atomo opaco del male”.
La poesia come luce credo sia di derivazione saffica, come potrebbe infatti la poetessa Zanarella fare a meno del riferimento alla saffica femminilità di versi che risplendono nella luce dell’eterno? La poesia illumina, guida, ammonisce, stordisce col suo fulgore e richiama in vita chi non c’è più, come nei versi dedicati ad Ottavio e a Sebastiano: “E ricordo tutte le albe/che il cielo ti ha concesso,/il sacrificio dei boschi/il fieno che hai portato sulle spalle/fino a segnarti le guance di fatica”. La poesia si fa ricordo e celebrazione dell’estinto, impregnato di sudore e fatica, quindi colto nella sua dimensione radicalmente umana e pur ritorna la luce dell’arcobaleno: “E un arcobaleno/ricompone voci spente, posa le resine/del tuo essere stato”. Mentre il caro Sebastiano è sereno nella “fertile luce che muta la fine/in dolce memoria/che s’inchina”, in quel punto in cui rifulge l’estetica dell’oltre.
Non mancano i consueti riferimenti ad Alda Merini e al poeta di Monteverde, Pier Paolo Pasolini, dove la forza della parola poetica illumina il buio della notte, che il poeta non teme, benché nell’intimo abisso sia “incisa la costola del dolore”: ecco che la parola risana dalle ferite della storia, come quella della Zanarella che è sostanzialmente luce materna che libera e consola. Parimenti la poesia di Alda Merini  “rovesciando le polveri/ in sillabe e colori/ eleva al cielo “le radici del profondo”. La poesia safficamente eternatrice, l’unica in grado di trasformare la polvere in sillabe e colori. Che sia presente Saffo nella poesia della Zanarella si desume anche dalla lirica Afrodite: “L’amore sta in un pugno/di brividi, sul fogliame umano/che s’apre a profezia di schiume”, laddove i brividi di amore ricordano tanto la poetessa di Lesbo, ma nella Zanarella l’amore è radicalmente legato alla terra, a quel “fogliame” che ci ricorda l’umana precarietà dell’essere, mentre in Saffo l’amore è fulgore eterno di luce rarefatta. Terra, Cielo, Tempo: questi i fili rossi della intensa silloge della Zanarella; il trascorrere di quest’ultimo è un dato ineludibile e inequivocabile di realtà, il tempo piaga il tessuto umano: “Scrivere del cielo/senza privare la luna/dell’onda/non basta a lenire le piaghe del tempo”. Versi stupendi in cui l’elevazione poetica verso il cielo non cura dalle ferite del tempo, del “reo tempo”, sicché non ci si può disfare “del capriccio che abita le stagioni”. Tale percezione che ci tiene confinati al tempo che scandisce i ritmi stagionali entra in frizione con la tensione verso l’infinito sentire, mentre sinesteticamente “tace l’odore di lacrima”. Ma questo silenzio della lacrima è atto poetico, mentre quotidianamente si soffre per l’inevitabile trascolorare del tutto. A conclusione, auguro a Michela che la sua poesia rifulga di quella luce eterna che promana dai suoi versi e che essa vinca “di mille secoli il silenzio”.


martedì 11 febbraio 2014

Il viaggio nel passato di Stephan Zweig

Il viaggio nel passatoSiamo a Francoforte, a ridosso della prima guerra mondiale, Ludwig, giovane di umilissime origini, con funzione di precettore presso le case dei potenti,viene assunto dal noto Consigliere G.,direttore della gran fabbrica della città. Qui avviene il suo affrancamento dalla povertà, ricoprendo un ruolo sempre più importante,fino al momento in cui si trasferisce nell’opulento palazzo del suo benefattore, dove viene signorilmente accolto dalla moglie. L’incontro è calamitico, è un nascere dirompente di passione, assolutamente corrisposta,romanticamente l’amore li travolge in una sinfonia di accordi che idealizza gli oggetti del desiderio,così l’uomo e la donna si rispecchiano nella luce dell’amore, un amore ab-solutus, totale, appagante, unico e irripetibile. L’amore autentico, inseguito, scavato dentro gli sguardi, che si incrociano, si cercano, si trovano nell’ attimo stesso in cui il sentimento viene concepito. Assolutezza ed eternità fanno di questo sentimento il nucleo attorno a cui gira la loro esistenza,mai paga di rincorrersi lungo la linea del tempo. Poi una missione  in Messico allontana gli amanti per nove lunghi anni in cui si pensano a distanza e senza distanza, in cui si sognano reciprocamente dando corpo al delirio amoroso. Gli anni passano, ma l’amore resta identico a se stesso,le esistenze si dividono; in mezzo la guerra ( la Germania contro la Francia, l’Austria contro la Russia) che produce rovine, sulle quali rinasce il sentimento. Gli amanti si ritrovano a Francoforte dentro l’intreccio degli sguardi e dei corpi nel tempo ritrovato dell’Amore assoluto…
 Un viaggio sentimentale in un tempo senza futuro, dentro esistenze travolte dalla prima guerra mondiale e il crollo di un mondo, in un libro breve ma intensissimo, scritto nel 1929 a Salisburgo e pubblicato in Germania nel 1987. L’autore Stephan Zweig, di origini ebraiche , tocca le corde più profonde dell’essere,facendo vibrare gli amanti di un sentimento altissimo rivissuto in chiave romantica e drammatica. Il testo tocca i vertici del sublime poetico in uno stile classico, brillante, scorrevole, di grande impatto emotivo come si conviene a chi si muove sinuosamente tra le parole per essersi formato alla scuola poetica della Jungwien.
Profondo esperto della poesia di Hofmannsthal e Rilke, da cui fu influenzato, Zweig fu anche poeta di altissimo livello, difatti la sua prosa è poesia pura che vibra e attraversa i corpi e le menti degli amanti in un amore romanticamente conflittuale ed eterno.

c


domenica 22 dicembre 2013

Una Buona Stella di Francesco Giorgi - Lupo editore 2013


Il romanzo di Francesco de Giorgi Una buona stella è ambientato a Gallipoli, ma non aspettatevi un romanzo di celebrazione  delle bellezze del Salento, su di questo hanno già scritto in molti e bene, vi troverete davanti un testo sul dolore del vivere, senza nascondere nulla sulle contraddizioni di quella terra, così luminosa e frequentata d’estate, così triste e malinconica d’inverno.
 Eppure anche d’estate Gallipoli può essere irrespirabile per chi conduce una vita tapina, monotona e ripetitiva e impregnata di malessere.
Franco Quadriglia, il protagonista, è un semplice impiegato comunale: conduce un’esistenza ordinaria alla perenne ricerca di una sua stella, di quella situazione che possa cambiargli la vita e sottrarlo al “male di vivere”; la cerca anche la notte di San Lorenzo e si convince che c’è una chance anche per lui. Lui che è lo “scemo del villaggio”l’inetto, quello a cui manca qualche rotella, lui che deve aver subito qualche trauma da piccolo, lui al quale qualcosa di tragico è capitato certamente. Eppure ha una marcia in più, un modo disincantato e vero di vedere il mondo, sembra l’”inetto” sveviano che un giorno salirà sul monte più alto ad illuminare l’umanità con la sua percezione del mondo. Sembra uno svalvolato, ma il realtà ha capito come va il mondo: esattamente il contrario di come dovrebbe andare. Perché se le cose andassero per il verso giusto lui sarebbe sposato con Carmela, il sogno di una vita, e non esiterebbe Luigi Pardi, un idiota sposato proprio con quella donna che ama, i ragazzi non snifferebbero cocaina per trovare l’ebbrezza di un momento né si rifuggirebbero in rapporti occasionali. I panettieri farebbero le baguette e non sarebbero spacciatori di droga, e le fanciulle sarebbero consapevoli della loro femminilità e non si svenderebbero nei mercatini delle discoteche.

Perdutamente

Perdutamente

Un bambino prodigio

Un bambino prodigio